Premio “Brignetti” 1990 a Mario Tobino

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Oggi, come cinquanta anni fa, la letteratura può avere ancora un ruolo importante nel costruire la coscienza civile di un paese? Crediamo di sì, soprattutto quando i suoi interpreti non sono solo freddi letterati, ma partecipi della storia di una società. Tra questi ultimi si iscrive a pieno titolo lo psichiatra-scrittore Mario Tobino, Primario della sezione femminile del Manicomio di Maggiano, un letterato anomalo, non conformista, che pubblica nel 1953 Le libere donne di Magliano. Un libro rivoluzionario perché descrive il manicomio, nella sua cruda realtà: un orrore rimosso, un luogo dove recludere e nascondere un’umanità diversa, dolente, un lager accettato e istituzionalizzato. Ma anche un libro che stigmatizza una certa psichiatria indirizzata soprattutto al controllo sociale. Quella di Tobino è una denuncia “urlata” e un invito pressante all’impegno e al cambiamento. Cambiamento che secondo lui prevede la trasformazione di quello spazio in uno “speciale paese” a cui i malati sentano di appartenere, luogo privilegiato per una comunità che chiede rispetto e diritti. Con queste motivazioni egli si oppose fortemente alla chiusura dei manicomi, come accadrà invece con la legge 180 del 1978 promossa da Franco Basaglia. Una controversia, la loro, ampiamente diffusa dai giornali dell’epoca che li vide contrapposti per la visione della malattia mentale, intesa da Tobino come fatto biologico-ereditaria (“l’eredità, follia, carne con il germe maledetto”) e nel contempo sacra (“una delle misteriose e divine manifestazioni dell’uomo”) e da Basaglia, invece, anche come prodotto della società. Entrambi tuttavia ritengono importante vedere il malato come persona, soggetto portatore di affetti e diritti e non oggetto della sua malattia. Il tema della follia è presente un po’ ovunque nell’opera letteraria di Tobino, ma i quattro libri che lo affrontano direttamente sono, oltre Le libere donne di Magliano del 1953, Per le antiche scale del 1972, Gli ultimi giorni di Magliano del 1982 e Il manicomio di Pechino tratto dai diari degli anni 1955-1956, pubblicato nel 1990, dove Pechino è un espediente per parlare dei fatti della vita italiana e per stimolare il cambiamento. Con questo libro si chiude l’esperienza letteraria e terrena di Tobino, che morirà nel 1991, un anno dopo aver ricevuto, proprio con questo libro, il “Premio letterario Isola d’Elba–Raffaello Brignetti”. Il 22 settembre del 1990 Tobino arriva per la prima volta a Portoferraio, accolto nella Libreria dei Fubini da Aldo Gasparri, che ha ancora un vivido ricordo di quell’incontro. Si rammaricava Tobino di non aver frequentato prima l’Elba, per la sua bellezza ma anche per la sua storia, appassionato com’era, da buon viareggino, della vita di Maria Luigia d’Austria, consorte di Napoleone. Un altro aneddoto lega Gasparri allo psichiatra versiliese: la comune amicizia con il partigiano Aldo Cucchi (rievocato da Tobino nel libro Tre Amici), che nel 1952 trascorreva le sue vacanze sull’Isola accompagnato dal giovane poeta elbano Giulio Caprilli. La Giuria composta tra gli altri da Geno Pampaloni, Gaspare Barbiellini Amidei e da Giancarlo Castellevecchi conferisce il prestigioso riconoscimento a Tobino, con questa motivazione: “L’autore è un medico innamorato del proprio lavoro e un letterato che sa penetrare nel cuore delle persone e degli avvenimenti, con una scrittura appassionatamente semplice nel suo calore colloquiale, ma frutto di una paziente ricerca stilistica”. Tobino è stato fonte di ispirazione per numerosi registi, quali Mauro Bolognini (Per le antiche scale), Giovanni Fago (La barca dei folli, Sulla spiaggia e di là dal molo), Anton Giulio Majano (L’ammaliatrice), Mario Monicelli (Le rose del deserto), Dino Risi (Scemo di guerra). Lo stesso Federico Fellini ricorda la sua visita nel manicomio di Maggiano invitato da Tobino quando sembrava volesse farne un film: “È stata un’esperienza straordinaria. […] Perché la follia protetta dall’amore (e da mura) comunica un sentimento di libertà pericoloso, al quale è difficile resistere. È il caos primigenio protetto, difeso, istituzionalizzato. Non c’è libertà paragonabile a quella della pazzia difesa. Quell’esperienza mi ha turbato”. Fellini intuisce il profondo legame che lega Tobino ai suoi malati, con i quali vive per quarant’anni, giorno e notte, a contatto con la loro malattia, in ascolto del loro “umanissimo quanto terrificante cuore di tenebra”. E li racconta attraverso intuizioni letterarie e cliniche che anticipano gli studi sul linguaggio schizofrenico e costituiscono pagine di Medicina Narrativa. La sua vocazione diaristica e il desiderio di proporsi come osservatore attento delle vicende umane è un tratto spontaneo, un’attitudine molto precoce, come confessa in una breve intervista televisiva: “Sin dall’Università io avevo una disposizione a stare attento ai moti degli animi, non agli affari altrui, ma al movimento dei pensieri, a leggere al di là della fronte”.

Mario Tobino won the Brignetti Literary Prize in 1990 with his book Il Manicomio di Pechino. He was a psychiatrist, director of the Maggiano Asylum for women in Tuscany, who had devoted himself to writing books that won awards and inspired films by important directors such as Monicelli, Risi and Bolognini. He was fascinated by the beauty of the island, but above all, its history as he was passionate about Marie Louise of Austria, Napoleon’s wife who had ruled Versilia where he was born. Tobino was a keen observer of human affairs and a skillful storyteller, aware of the fine distinction between the world outside and inside asylums. Hence the timeless appeal of his books.

Mario Tobino gewann 1990 den Brignetti-Literaturpreis für sein Buch „Die Irrenanstalt von Peking“. Er war Psychiater und leitete die psychiatrische Klinik in Maggiano in der Toskana. Neben seiner medizinischen Laufbahn widmete er sich ganz der Literatur, verfasste preisgekrönte Werke und inspirierte damit Regisseure wie Monicelli, Risi und Bolognini zu filmischen Meisterwerken. Die Schönheit der Insel faszinierte ihn – noch mehr jedoch ihre Geschichte. Besonders angetan war er von Marie Luise von Österreich, der Frau Napoleons, die einst die Versilia regiert hatte, wo er selbst geboren war. Tobino war ein scharfer Beobachter des menschlichen Wesens und ein meisterhafter Erzähler. Er erkannte den feinen Unterschied zwischen der Welt innerhalb und außerhalb der Anstalten – vielleicht ist es gerade diese Sensibilität, die seine Bücher bis heute so faszinierend macht.

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