L’attribuzione all’Epoca Romana del primo sfruttamento delle cave di granito dell’Elba è dovuta ad un importante reperto archeologico rinvenuto nella zona del Seccheto nel lontano 1899: un’“Ara Votiva” di forma quadrangolare che misura in altezza m. 1,06 e porta sulla lato anteriore la scritta: “P. Aiclius Attianus Pref. Pr. Herculi Sancto d.d.” (Publio Acilio Attiano Prefetto dedica questo dono ad Ercole), con scolpita sotto l’iscrizione una clava e, sul lato opposto, una spada e uno scudo. Gli storici dell’epoca ipotizzarono che il dedicante si dovesse identificare con quell’Attianus che fu, insieme a Traiano, il tutore di Adriano – il quale, una volta divenuto Imperatore (117‑138), gli conferì il titolo di “Praefectus Praetorio”. Si può quindi ritenere che lo sfruttamento del granito abbia avuto le sue origini almeno dal II sec. d.C. e non già per trarne piccoli manufatti come l’Ara Votiva, ma elementi molto più importanti quali le imponenti colonne monolitiche necessarie per ornare i colonnati della “Roma Imperiale”. Ancora oggi è possibile ritrovare lungo le pendici degli abitati di Seccheto e Cavoli numerosissimi resti di colonne di varie pezzature, i segni delle trincee scavate dagli scalpellini sulla roccia per consentirne il successivo distacco e, a seguire, il processo di sbozzatura. Il trasporto avveniva per mezzo di apposite “Lizze” in legno, lungo le vie di lizza predisposte dagli operai per giungere dalla sede di estrazione fino alle spiagge sottostanti, dove le colonne, semilavorate, erano pronte per il trasporto. Ma con quali imbarcazioni si potevano trasportare questi elementi così pesanti, e quali dovevano essere i sistemi di sollevamento? Questo enigma può essere risolto con una visita alla Galleria delle Carte Geografiche nei Musei Vaticani, dove furono dipinte dal cartografo Ignazio Danti, negli anni 1580‑83, tutte le province dell’Italia antica; tra queste possiamo trovare la carta dell’Elba (l’Isola), sulla quale è ben visibile la città fortificata di “Cosmopoli”. Nello specchio di mare a sud dell’isola è dipinta una zattera in legno con un albero maestro che regge una interessante rappresentazione del “Porto Romano di Ostia voluto dall’Imperatore Claudio”. Ebbene, possiamo ritenere che la zattera rappresenti il reale sistema di trasporto delle colonne estratte e lavorate all’Elba fino ad Ostia. Gli operai creavano un varco nella parte terminale delle spiagge di Seccheto e Cavoli, dove in entrambe scorre un torrente, per consentire l’entrata della zattera sulla quale rullare da due a quattro colonne. Sarà poi una imbarcazione madre, dotata di vele e altri vogatori, a prendere a rimorchio la zattera con il suo prezioso carico ed avviarla verso Roma. In caso di tempesta si tagliavano le cime e l’imbarcazione madre poteva riparare nel primo porto sicuro. Prima della fine dell’Impero corollare la richiesta delle preziose colonne provenienti dall’Elba, le cave saranno abbandonate fino all’uso di colonne nella costruzione delle Basiliche Cristiane del periodo medievale del X‑XII sec. L’Elba era soggetta alla Repubblica di Pisa. È proprio per ornare la navata centrale del Duomo di Pisa e Piazza dei Miracoli, vennero estratte ben 24 colonne granitiche di sette metri di altezza, con un diametro superiore a un metro. Questi monoliti, una volta ruotati nelle cave elbane, venivano trasportati e posti in opera sotto lo sguardo del responsabile della costruzione, l’architetto Buscheto, al quale è dedicato un prezioso elogio marmoreo leggibile sul lato sinistro della facciata del duomo. Anche il campanile e il battistero hanno elementi in granito provenienti dall’isola; gli esperti parlano di ben cinquantasette colonne di varie pezzature presenti nel solo Duomo. Nella collinetta che domina l’abitato del Seccheto, resta una colonna, lesionata durante la lavorazione, sulla quale è incisa, in forma abbreviata, la scritta “Ope(re) Pisane Eccle(sie) S(an) C(t)e Marie”. Alcuni documenti ci mostrano che lo stesso Carlo Magno volle far trasportare alcune colonne di “Granitello dell’Elba” per ornare la Cappella Palatina nella Cattedrale di Aquisgrana; il granito elbano è presente nel Battistero di San Giovanni a Firenze oltre che nella chiesa di San Michele, nonché nei Duomi di Monreale e di Cefalù. Nel periodo napoleonico molte opere d’arte, specialmente sculture, furono prelevate dalla Collezione Borghese per il Louvre di Parigi, dove ancora oggi possiamo ammirare una statua della Dea Iside ricavata da un “rocchio di colonna di Granitello Elbano”. Inattive per un lungo periodo, alla fine dell’Ottocento le cave vennero riaperte per ricavare materiali per la costruzione di porti, strade e manufatti di varie pezzature grazie anche a investitori d’oltreAlpi come gli Zimmer, che a inizio Novecento ottennero concessioni nelle valli di Cavoli e Seccheto, dando impulso all’economia locale. Negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale tutta la famiglia Zimmer visse presso la spiaggia di Cavoli per seguire le attività estrattive; la serenità familiare fu tragicamente segnata dalla perdita dei due giovani figli, oggi sepolti nel Camposanto di Procchio. La fine del conflitto e la vittoria dell’Italia determinarono l’esproprio delle concessioni e l’abbandono delle cave da parte degli Zimmer. Nei decenni successivi le cave cambiarono proprietari – dall’avvocato Mellini nel 1923 alla S.A.G.E. fino al fallimento nel 1940 – finché furono acquisite all’asta dal costruttore Guglielmo Federici. In seguito, furono aperte piccole cave private a San Piero e Sant’Ilario, tra cui quella gestita da Italo Bontempelli, e la cooperativa Corridoni, fondata nel 1937, che coinvolse molti scalpellini locali e portò benefici all’intera comunità. La costruzione della strada carrozzabile tra Marina di Campo e Cavoli–Seccheto facilitò il trasporto dei manufatti fino al porto, permettendo carichi su motovelieri. Oggi le cave di San Piero, in particolare la storica Cooperativa Corridoni e la cava Beneforti, testimoniano ancora questa tradizione, sebbene siano a rischio chiusura. La cava Beneforti, fondata negli anni ’60 da Aristide “Ariste” Beneforti e oggi gestita dal figlio Angiolo, rappresenta non solo un sito di estrazione ma anche un laboratorio creativo frequentato da artisti come Giò Pomodoro, Andrea Cascella e Mattia Bosco insieme a Gianni Beneforti, con opere esposte a Roma, agli Imperiali e in Nuova Zelanda, dimostrando il potenziale culturale, formativo e turistico del luogo. Il valore della cava risiede nella sua tradizione storica e nella capacità di farsi motore di sviluppo culturale sul territorio, fondendo memoria e futuro tra arte, storia e comunità elbana. Parallelamente, l’emigrazione verso Liguria, Toscana e Canton Ticino di piccoli gruppi di scalpellini ha favorito presenze oltremare e una crescita economica locale. Tuttavia il mercato del granito ha subito la concorrenza di Cina e Brasile con costi inferiori, portando al declino delle piccole cave; ne sono rimaste aperte solo due e la “Scuola della Cava” rischia di chiudere, mettendo a repentaglio una tradizione millenaria.
Elban granite was already used in Roman times and is also found in the base of the Leaning Tower of Pisa. After the Second World War, Elban stonemasons used island granite to reconstruct damaged buildings. Even today, walking through the countryside of San Piero, you can come across ancient stonework objects that have barely been started or left abandoned. There are still two quarries working in San Piero, the Beneforti Quarry and that of the Corridoni Cooperative, founded in 1937. The first stonemason of the Beneforti family was Aristide and today his grandson Gianni has gathered the experience and the secrets of that difficult craft. Unfortunately, the quarries will have to close, but it is hoped that they can stay active, if not for extraction from the mountain, at least for processing the stone. Many artists have visited the quarries and used the granite: these quarries could become educational workshops for schools and sculptors and above all, places where we can learn more about the traditions of the miners on Elba before tourism.
Elbanischer Granit wurde bereits in der Römerzeit verwendet und findet sich auch im Fundament des Schiefen Turms von Pisa. Nach dem Zweiten Weltkrieg wurden viele Städte und Infrastrukturen von elbanischen Steinmetzen mit dem Granit der Insel wiederaufgebaut. Noch heute kann man bei Spaziergängen durch die Landschaft von San Piero antike Artefakte entdecken, wie kunstvoll bearbeitet und doch verlassen. In San Piero gibt es noch zwei aktive Steinbrüche: die Cava Beneforti und die 1937 gegründete Genossenschaft Corridoni. Der erste Steinmetz der Familie Beneforti war Aristide; heute führt sein Enkel Gianni die jahrhundertealte Tradition fort und bewahrt das Wissen über dieses Handwerk. Obwohl die Steinbrüche schließen müssen, besteht die Hoffnung, sie zumindest für die Bearbeitung des Steins offen zu halten, wenn auch nicht mehr für den eigentlichen Abbau. Viele Künstler haben bereits mit elbanischem Granit gearbeitet. Die Steinbrüche könnten zu Lehrerwerkstätten für Schulen und Bildhauer werden – und vor allem zu Orten, an denen die Traditionen der elbanischen Bergleute bewahrt werden, die Menschen, die lange vor dem Aufkommen des Tourismus das Leben der Insel prägten.