“Ah! La valle di Pomonte! Che meraviglia! Era un giardino!”: questo è ciò che dicono gli sguardi e le parole delle persone anziane quando evocano un vero e proprio Eden, ai loro occhi, irrimediabilmente perduto. Eppure a tali espressioni dal forte sapore nostalgico si affiancano, nei ricordi, le inenarrabili fatiche che il vivere in questa terra comportava. Per rendere la valle un giardino bisognava lavorare “da stella a stella” necessariamente a mano, con la forza delle sole braccia, nella totale assenza di mezzi meccanizzati. Sicuramente il fascino della valle più profonda dell’Isola d’Elba deriva dalla sua speciale morfologia, che nei tempi ha accolto popolazioni e culture che vi hanno lasciato importanti tracce sia di spessore storico che di tradizione contadina. Oggi, quando dalla piazza del paese, dominata dalla chiesa parrocchiale dedicata alla patrona Santa Lucia, si percorre la via che porta al ponte del Passatoio, la valle comincia a disvelarsi in tutta la sua maestosità e ampiezza. Le creste dei monti che partendo dalla costa orlano il versante a solana (S. Bartolomeo, La Tabella, Monte di Cote, La Tavola) e quello a ombrìa (Schiappone, Orlàno, Cenno, Le Mure, Grottaccia, Filicaja) culminano con la vetta superba e granitica del monte Capanne, che con i suoi 1019 metri richiama a sé tutta l’attenzione del visitatore. La vallata si apre longitudinalmente secondo un asse est-ovest disegnato dal fosso che dalle pendici del monte Capanne giunge fino al mare a guardare la Corsica e segna il confine amministrativo tra i comuni di Marciana e di Campo nell’Elba. Il fosso di Pomonte è alimentato da numerosi corsi d’acqua come il Barione, che scende dalla valle dei Mori, o il fosso della Porterogna sulla sinistra orografica della vallata, e il fosso della Vallaccia con tutti i suoi fossietti affluenti: Guazzacollo, Cerchiaio, Cipollio, Terra, che si trovano invece sul versante orografico destro. Questi, scorrendo sulle pareti rocciose e fortemente scoscese dove il nudo granito domina il paesaggio, formano scorci suggestivi con cascate e balzi alti per poi confluire in un unico corso in località il Poio, sotto il “Colle di tutti”: una trasformazione del toponimo “colle ai duttì” che evoca appunto l’abbondanza di acque (Ferruzzi, 2010). La valle, che in passato era un continuo brulicare di persone intenti ai lavori agricoli o a spostarsi verso i paesi principali percorrendo le antiche mulattiere, senza dimenticare i pastori che frequentavano i caprili di altura, è tuttora ricca di numerosi sentieri più o meno liberi da vegetazione, che oggi accolgono frotte di escursionisti come quelli che discendono l’ultimo tratto della GTE sud. Sono percorsi non sempre segnati sulle carte che, ripuliti con l’impegno di volontari e conoscitori, suggeriscono di addentrarsi in almeno tre diverse tipologie di esplorazione: naturalistico-ambientale, etnoculturale-rurale, storico-archeologica. Qui, non avendo lo spazio per le indicazioni complete ed esaustive proprie di una guida, seguiremo brevemente questi tre indirizzi per rendere, con note di curiosità, le possibilità di osservazione che vengono ad aprirsi per l’esploratore. Il primo è l’aspetto più evidente: quello di una valle che si offre in tutta la sua lussureggiante bellezza naturale, dominata dalla vegetazione spontanea tipica della macchia mediterranea che passa, a seconda dell’altitudine, dal cespugliato con le ginestre, la lavandula e le varie tipologie di cisto, alle zone arbustive con corbezzolo, lentisco, mirto, erica, per giungere alle leccete e al bosco di castagni, questi ultimi frutto del lavoro dell’uomo per la sussistenza di intere famiglie, specie nella prima metà del Novecento e in tempo di guerra. Veri protagonisti sono i vari “liscioni” di granito che in ripida ascesa donano sorprendenti scenari mozzafiato e l’acqua che, specie dopo le piogge, scende spumeggiante e fragorosa dai costoni di roccia formando numerose cascatelle, piscine e specchi d’acqua suggestivi. Ma ad uno sguardo attento, tra la vegetazione, si possono scorgere gli antichi muretti a secco ed i terrazzamenti con cui si strappava terreno coltivabile nei luoghi più impervi per poter piantare le viti “a capannello” anche in un fazzoletto di terra. Era la civiltà dei vecchi contadini che coraggiosamente “grattavano la pancia del monte Capanne” per far fruttare ogni angolo della valle ubertosa, ma anche matrigna, che si erano trovati ad abitare nel quasi totale isolamento se non per la presenza delle antiche mulattiere che risalendo la vallata nord collegavano Pomonte a Marciana e dall’altra parte raggiungevano San Piero camminando verso est. Anche per questo molte famiglie che avevano i loro “centi” di vigna nella valle di Pomonte e la casa principale a Marciana, nell’Ottocento costruirono dei “magazzini” per servirsene principalmente durante il periodo della vendemmia. Oggi di questi edifici rurali, muniti regolarmente di stalla e talvolta di fienile, rimangono i ruderi che punteggiano il versante nord della valle spingendosi fino a quote intorno ai 400 mt. Essi testimoniano l’antica pratica della vinificazione, che poteva avvenire sul posto oviusferundo, in qualche caso, di un doppio palmento che permetteva di velocizzare i tempi intercorrenti tra vendemmia e fermentazione. Sbirciando dentro i ruderi che si incontrano alla Pente, a Cote Ritonda, alla Cerchiaia, al Poio, si possono notare, oltre a un ampio camìno e a una scaffà dove riporre le principali stoviglie, anche la vasca del “palmento” dove avveniva la prima fermentazione dell’uva, la “tina” interrata dove si raccoglieva il mosto e l’immancabile “sasso di leva” (pesante blocco di granito munito di anello) necessario per la spremitura delle vinacce con l’antico sistema del “pondo”. Insomma, fino ai primi decenni del Novecento, l’uva si piggiava lassù e il vino raccolto in otri di capra veniva trasportato fino al paese da carovane di asini. Qui veniva travasato nelle botti in attesa di portarlo, sempre nelle otri, fino al Calello, dove mercanti genovesi lo caricavano sulle loro tipiche imbarcazioni (leudi) per portarlo in Continente e usarlo come vino da taglio. Infine con la nota di G. Ninci (1814), che ci ricorda che Pedemonte o Pomonte “È stata una terra assai popolata. [che] Fu distrutta dai Turchi nel 1533 dell’era volgare. [e che] Le sue reliquie si veggono dietro le montagne marcianesi”, ci lasciamo affascinare dal terzo itinerario, quello storico-archeologico, che ci parla di una “terra”, cioè di un paese, scomparso nel XVI secolo, i cui resti si trovano appunto in località La Terra a 570 mt di altezza. Lì, dopo recenti rilievi, sono state trovate tracce di un’antica chiesa dedicata a San Benedetto nonché frammenti di terracotta smaltata, tegole di ardesia, condotti di argilla. Sempre sulle alture della valle ci sono altri due importanti luoghi di culto: la chiesa romanica di San Bartolomeo che, eretta sull’omonimo monte, guarda la valle dai suoi 440 mt di altezza col suo imponente muro in blocchi di pietra disposti in filari regolari e la chiesa di San Biagio, sorta su un poggetto alle pendici del Colle di Tutti a 430 mt di altezza. Chiese erette strategicamente in contatto visivo non solo tra loro ma anche con San Frediano sopra Chiessi e San Mamiliano a Montecristo. La valle offre, e nasconde, molte testimonianze di un passato remoto risalente al Medioevo e, più indietro, all’epoca etrusco-romana, quando si provvedeva allo sfruttamento, in maniera intensiva, dei boschi di lecci della zona per alimentare i forni dove avveniva la fusione dei minerali ferrosi trasportati dalle miniere dell’Elba orientale: attività testimoniata dal ritrovamento dei resti di antichissimi carbonai e, di forni e di cumuli di scorie, i famosi “schiumoli” che hanno dato il nome alla zona limitrofa al guado del fosso nei pressi del Cafajo. Per queste caratteristiche, e molte altre ancora, che fanno della valle di Pomonte un luogo speciale da frequentare con gentilezza e meraviglia, ci sentiamo in conclusione di sottolineare come essa sia un “mondo” da preservare contro l’abbandono e la rovina. Basti pensare all’enorme frana del 16 ottobre del 1990 che, staccatasi dalla sommità del monte Cenno, si abbatté con violenza sul fondovalle in località Porterogna trascinando con sé vegetazione, “coti”, detriti che invasero il fosso e modificarono irreparabilmente il paesaggio. La valle è anche questo: un sistema idrogeologico delicato e complesso che nel tempo ha fatto registrare importanti alluvioni dovute a fenomeni naturali ma anche, purtroppo, agli incendi e all’incuria dell’uomo sempre più imperante. Una valle da mettere in sicurezza anche imparando dalle sue cicatrici. Un luogo da conservare gelosamente come un tesoro unico e prezioso che in virtù delle sue prerogative richiede cura e rispetto.
The Valley of Pomonte Patresi and its Unforgettable Sunsets Granite Tradition on Elba
Das Pomonte-Tal Patresi und seine unvergesslichen Sonnenuntergänge Die Tradition des Granits auf Elba