Lo stradello di ciottoli e terra battuta correva un tempo sotto il Chiuccolo, la collinetta che volgendosi al mare protegge il Cimitero, ormai quasi celata dalle Brignetti”, lo scrittore di origini marinesi che a lungo soggiornò alla Torre. Per me bambino era il sentiero che da San Luigi portava a Beppe e Checchina. Ad ogni ritorno, il saluto ad una schiera di parenti era un rito ineludibile, che tuttavia iniziava da Beppe e Checchina, anche se “zii” non erano. Io e mia sorella s’andava di corsa sino al cancello di legno del loro giardino e là chiedevo a lei, più piccola di me, di chiamarli a gran voce: io mi vergognavo, e ne sorrido, osservando ora i bambini che quasi non riescono più a parlare se non vociando. Checchina ci accoglieva, il volto radioso, lo sguardo ceruleo che spiccava sulla crocchia candida e scaldava il cuore, ancor prima del suo abbraccio. Intonava le parole seguendo una melodia che sapeva d’antico, che mi rammenta ora la metrica latina. Trafelati le davamo le notizie per noi più importanti e lei diceva: “Beppe è a dare il ll’asino” oppure “Beppe è giù nell’orto”. E ci guardava correr via restando a curare il tripudio di ortensie, gerani e fucsie che adornava le vaschette di fronte a casa. Come Checchina era opulenta, Beppe era alto e asciutto. Con noi bambini, ma non solo, amava scherzare. La prima volta che mi portò dall’asino gli chiesi: “Come si chiama?”. E lui: “Come te!”. “Allora Andrea!”. “No, si chiama come te”. “Ma io mi chiamo Andrea!”. “E lui si chiama come te!”. Ci voleva un po’ per capire che l’asino si chiamava “Comettè”. A volte lo trovavo a intrecciare canestri, con antica e ormai perduta maestria. Univa rami d’alberi ed arbusti di diverse tonalità, lavorati prima in strisce sottili e ammollati in acqua di mare, creando ceste per raccogliere frutta e verdura, per portare nelle vigne o in barca acqua, pane e companatico. Ho una foto con uno dei suoi cesti “imbarcato” sul “Velella” con due ragazzi, mio padre e suo cugino Gigi, in occasione di una delle loro circumnavigazioni dell’Isola. Conservo un paio di questi panieri e a più di cinquanta anni sembrano appena fatti. Li guardo e vedo quelle mani ruvide e callose che li intrecciano, il naso aquilino e lo sguardo acuto sotto le sopracciglia folte e imbiancate. Per me Beppe è ancora lì, seduto sullo scalino, con espressione assorta e movimenti rapidi e precisi, anche se tutto il resto del suo mondo non c’è più. Beppe improvvisava tra sé poesie in ottava, nella forma del “contrasto ad ottetto” toscano. In quest’espressione l’unica condizione è di riprendere in chiusura la rima iniziale: in assenza di un contendente, faceva tutto da solo e la poesia diventava dialogo interiore. Siamo ombre di nuvole che scorrono veloci nel cielo di maestrale.
Beppe and Checchina’s memories take me back to my summer holidays in Marciana Marina in the sixties, when the vineyards reached down as far as the sea and the dry stone country lanes meandered between the rows of vines, connecting the houses scattered across the countryside. Checchina looked after the garden full of flowers and welcomed us children with her radiant face and light blue eyes. Beppe was tall and slim and loved to joke with us. His donkey was called “Comettè”, which he made into a game by pretending it was called after me. He would weave baskets using the plants from the bushes around to use for harvesting the grapes or for carrying his produce. Pictured here, is one of them on board the “Velella”, with their lunch, just before leaving for an island tour. Beppe’s speciality were the verses that came to mind spontaneously, in keeping with the Tuscan tradition that dates back to Medieval times. These verses are now as lost as his gentle gestures weaving the baskets that still awaken nostalgia in our memories today. We are shadows of the clouds that race across the Mistral sky.
Die Erinnerung an Beppe und Checchina ist untrennbar mit den Sommerferien in Marciana Marina in den 1960er Jahren verbunden – einer Zeit, in der die Weinberge bis ans Meer reichten und steinerne Pfade zwischen den Reben verliefen. Checchina kümmerte sich um den Blumengarten und begrüßte uns Kinder mit einem strahlenden Gesicht und himmelblauen Augen. Beppe war groß und schlank und scherzte gern mit uns. Sein Esel hieß „Comettè“ – ein Scherz, den er mit einem Wortspiel über unseren Namen auflöste. Er flocht Körbe aus Sträuchern und Zweigen, die zuvor zu schmalen Streifen verarbeitet und in Meerwasser eingeweicht wurden. Diese dienten zur Ernte oder zum Transport landwirtschaftlicher Produkte. Einer dieser Körbe ist auf einem Foto zu sehen, prall gefüllt mit dem Mittagessen, kurz bevor das Boot zur Umrundung der Insel aufbrach. Beppes besondere Gabe waren seine Reime – spontane Verse nach toskanischer Tradition, die auf eine mittelalterliche Kunstform zurückgeht. Heute sind diese Reime ebenso verloren wie seine sanften Gesten beim Korbflechten, die noch immer tiefe Emotionen hervor – wie Schatten von Wolken, die über den Himmel jagen, getrieben vom Mistral.